Il teatro venne costruito nel 1737 per volere del re Carlo III di Borbone, a cui venne intitolato. Il progetto fu affidato all’architetto Giovanni Antonio Medrano e i lavori furono diretti da Angelo Carasale. Fu inaugurato il 4 novembre del 1737, giorno dell’onomastico del sovrano, con la rappresentazione dell’Achille in Sciro del Metastasio.
L’assetto interno dell’edificio di Medrano è oggi ricostruibile sulla base di un dipinto di Michele Foschini e di alcuni rilievi eseguiti da illustri architetti europei in visita alla sala ;l’analisi comparata di questi documenti consente di restituire l’alzato dell’auditorio, articolato su sei ordini di balconate con parapetti decorati e un boccascena poco profondo costituito da un semplice arco ribassato sormontato dallo stemma reale. Un alto cornicione concludeva la sala mediando il passaggio al velario.
Le numerose testimonianze tramandate da viaggiatori ed illustri visitatori sono generalmente concordi nel celebrare la vastità della sala e dei palchi, pur se a discapito dell’acustica, e la sontuosità della decorazione.
Nell’arco del Settecento, l’edificio vede diversi ammodernamenti sollecitati dalla necessità di migliorarne l’acustica, oppure dalle mutate esigenze del gusto, che richiedeva sempre nuove «vesti» per l’auditorio.
Ristrutturazioni permanenti furono invece eseguite da Ferdinando Fuga (1699-1782) dapprima nel 1767-68 in occasione del matrimonio di Ferdinando IV con Maria Carolina e di nuovo nel 1777-78.
Le modifiche apportate da Fuga furono conservate fino al 1797, quando la sala viene sottoposta ad un nuovo restauro decorativo sotto la direzione dello scenografo del teatro Domenico Chelli (1746-1820). Questo interventofu poco apprezzato dalla critica settecentesca soprattutto per la soluzione adottata nel soffitto con un finto pubblico dipinto illusionisticamente sul velario.
La breve parentesi della Repubblica Partenopea del 1799 non determinò particolari modifiche alla struttura, ad eccezione di alcuni danni provocati dall’uso improprio della sala, ribattezzata Teatro Nazionale e «profanata» da spettacoli equestri.
Un nuovo capitolo si apre con l’ascesa al trono di Gioacchino Murat nel 1808, promotore di una politica di embellissement della città, e, dal 1809, la gestione di Domenico Barbaja che era particolarmente interessato ad avviare una ristrutturazione dell’edificio per inserirvi nuovi ambienti necessari alla sua attività di appaltatore dei giochi d’azzardo.
Le trasformazioni sono opera di Antonio Niccolini (1772-1850), caposcuola del Neoclassicismo a Napoli, che a più riprese interverrà sull’edificio fissandone progressivamente la fisionomia che ancora oggi possiamo osservare. La prima tappa della metamorfosi riguarda la facciata, poi il ridotto e gli ambienti di ricreazione e ristoro. I lavori, avviati già nel dicembre 1809, verranno conclusi due anni dopo.
Per il portico carrozzabile sostenuto da pilastri va certamente tenuto in conto il modello offerto dalla Scala (1776-78) di Giuseppe Piermarini, modificato tuttavia dall’inserimento, al secondo registro della facciata, della loggia ionica corrispondente agli ambienti del ridotto in luogo della terrazza della fabbrica milanese.
Con questa soluzione Niccolini risolve molto bene la dibattuta questione del manifestarsi dell’edificio nella città: per surgere alla dignità di monumento-simbolo della cittadinanza il teatro acquista le connotazioni del tempio inglobando nella facciata elementi della grammatica classicista e una decorazione ellenizzante allusiva alla poesia drammatica e alla musica. Non meno interessante è il ridotto, oggi sede del Circolo dell’Unione, prospettante sulla via di San Carlo attraverso la loggia ionica. Si presenta in forma di una grande sala tetrastila, con elegante decorazione vegetale in oro, fiancheggiata da ambienti minori, destinati secondo il progetto autografo di Niccolini alle sale da gioco. Un anno dopo la conclusione dei lavori dell’avancorpo, l’architetto toscano attende alla trasformazione della sala per adeguarla alla nuova decorazione del vestibolo e delle scale.
Tra le numerose innovazioni eseguite, vanno ricordate le coppie di semicolonne addossate ai pilastri già realizzati da Fuga nel proscenio, il lampadario sospeso nella zona più oscura della sala e il rifacimento del velario sostenuto da aste con cariatidi.
Al centro di questo era raffigurata l’apoteosi degli uomini illustri con Minerva circondata dalla Muse e da Apollo, soggetto conservato anche nelle successive edizioni della sala.
Nella notte dei 13 febbraio 1816 un incendio devastava l’edificio lasciando intatti i soli muri perimetrali e il corpo aggiunto. La ricostruzione, compiuta nell’arco di nove mesi e sempre diretta dall’architetto toscano, ripropone in grandi linee la sala del 1812 conservandone l’impianto a ferro di cavallo e la configurazione del boccascena, sebbene allargato e ornato nell’imbotte dal bassorilievo raffigurante il Tempo e le Ore, ancor oggi in sito.
L’apporto di Niccolini non si ferma alla ricostruzione, ma in quanto «Architetto decoratore de’ Reali Teatri» sovrintende anche ai numerosi successivi interventi di manutenzione e di restauro.
Fra questi va almeno menzionato l’ammodemamento compiuto nel 1844, assieme al figlio Fausto e a Francesco Maria dei Giudice, di cui rimane testimonianza in una memoria autografa pubblicata nello stesso anno.
I lavori riguardarono la trasformazione della tappezzeria dei palchi da azzurro in rosso, e il rifacimento delle decorazioni per adeguarle alla nuova tonalità dominante nella sala.
A tale fine anche il tondo centrale del velario viene ridipinto da Antonio, Giuseppe e Giovanni Cammarano riprendendo il soggetto delle precedenti edizioni. Completava l’arredo fisso della sala il sipario, più volte ridipinto da Giuseppe Cammarano e sostituito nel 1854 dall’attuale esemplare dovuto a Giuseppe Mancinelli e Salvatore Fergola, raffigurante un “simbolico Parnaso”con ottanta poeti e musicisti.
La vicenda della fabbrica non può dirsi completa senza dare cenno della facciata laterale realizzata su progetto di Francesco Gavaudan e Pietro Gesuè a seguito dell’abbattimento dell’ultimo baluardo del Palazzo Vecchio (1838-42).
Questa risolve il complesso raccordo con la nuova ala del Palazzo Reale derivando motivi dal prospetto principale.
Va infine ricordato l’attuale foyer realizzato su disegno di Michele Platania nel 1937, creando un nuovo corpo di fabbrica nella zona orientale del giardino di Palazzo Reale. Distrutto da un bombardamento nel 1943, è stato ricostruito nell’immediato dopoguerra.
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