«Durante la quarantena – scrive Andrea De Rosa nelle note di regia – ho pensato spesso ai teatri vuoti. Bui, freddi, silenziosi. Era un’immagine che allo stesso tempo mi attraeva e mi spaventava, come quando ero bambino e non riuscivo a farmi capace che la mia casa continuasse a esistere anche quando non c’era più nessuno. Che cos’è una casa quando non c’è più nessuno che la abita? Che cos’è un teatro vuoto? Continua a esistere per chi? Ho immaginato il luogo dove si svolge Nella solitudine dei campi di cotone come un teatro vuoto; ho immaginato il personaggio del “venditore” come un’attrice dimenticata su un palcoscenico e il “cliente” come un uomo che viene da fuori; ho immaginato che la merce intorno alla quale si conduce la misteriosa trattativa tra i due personaggi riguardasse il teatro stesso. Se è vero, infatti, che possiamo vedere davvero uno spazio solo nel momento in cui si svuota, allora questo è un momento privilegiato per chiederci il teatro cos’è. Il testo di Koltès somiglia a un dialogo filosofico intorno ai pericolosi doni che Dioniso regala agli uomini: la droga, l’alcool, il sesso, la rinuncia alle proprie certezze, la perdita di sé. Ma se c’è di mezzo Dioniso, non si sta forse parlando anche del teatro?»