Due donne, una donna, tante donne. In una cornice scarna con qualche sedia che funge anche da armoire (come nella migliore tradizione della donna moderna), si muovono e parlano e si raccontano, anche danzando, Emanuela Panatta e Alessandra Fallucchi. Danno voce a tante realtà differenti, in piccoli monologhi ping-pong che a volte divengono dialogo e verso il finale addirittura si uniscono in una sola, speculare identità.
<< E ora che fare? Ricominciare? >> si domanda la compagna tradita, ma fedifraga lei stessa;
<< Mi chiedo spesso: sono felice? >> ribatte la spogliarellista insoddisfatta a cui quei soldi guadagnati in fretta fanno comodo.
Ed entrambe sono lì, a un passo dalla platea che stasera più che mai risponde sguardo su sguardo, risate e lacrime, ed è essa stessa protagonista, come se ciascun spettatore stesse assistendo ad uno spettacolo privato, dedicato solo a lui. Perché in fondo le donne raccontate in scena sono donne comuni, le classiche ragazze della porta accanto che vivono ogni giorno “l’inganno della messinscena”. La vita che dovrebbe essere facile, bella, e che invece si para davanti in tutta la sua durezza e in tutta la sua difficoltà. E non c’è uomo che tenga, non c’è lavoro che soddisfi, non c’è niente se non l’ascolto giornaliero di quella voce di dentro che ti spinge, tutto sommato, ad andare avanti e a non mollare mai.
Ecco, questa è la vera forza: quella forza che ti urla di denunciare un rapporto malsano, che spinge ad alzarsi dal letto la mattina e ad affrontare le sfide senza mai mollare e senza mai perdere il sorriso.
Cambiano le due protagoniste; e basta uno stiletto o una ballerina, un cappotto di panno o un blazer di pelle rosso fuoco a farle sembrare tante facce di una medesima personalità, la personalità che, come insegna il buon Pirandello, è sempre: una, nessuna, centomila.
… Buio.
iNPlatea_Marianna Addesso