CON PERMESSO, DON RAFFAE’


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L’idea dello spettacolo nasce dall’ispirazione data dall’omonima canzone di Fabrizio de André. Suggestioni e immagini quasi grottesche e surreali di temi profondamente radicati nella cultura collettiva del nostro Paese: i temi del carcere, della criminalità organizzata, e dei rapporti (malati) di potere. Immagini con le quali, nel corso dell’esperienza della nostra compagnia, ci siamo misurati più volte, riscontrandone molti aspetti nel nostro confronto continuo con la Commedia dell’Arte. Caricature popolari che agiscono secondo uno schema fin troppo noto, quello del servilismo e della mala giustizia. Ispirandoci alla storia narrata, infatti, abbiamo identificato nei personaggi tragicomici di questa vicenda “italiana” caratteri non meno significativi di quelli delle maschere di Commedia: una storia, dei personaggi che parlano di potere, di servi e padroni, di favori e favoritismi; che sono investiti completamente, insomma, da quella vividezza di immagini tipica delle caricature sociali messe in atto dai comici dell’arte. In questo modo, il Don Raffaè del titolo diventa un vecchio Pantalone, recluso e stanco, ma ancora attaccato al proprio potere, alla propria influenza, alla propria ricchezza; allo stesso modo, Pasquale il brigadiere servile incarna perfettamente uno “zannesco” Arlecchino, ingenuo e distratto, lavoratore sfaticato, sempre alla ricerca di un modo per guadagnarsi il pane, un povero diavolo disperato, che lotta per sopravvivere, per escogitare un modo per tirare avanti, in un mondo quasi più grottesco di lui. E in questo modo le storture di un paese e la deformità di un intero sistema sociale si accentuano ancora di più, e diventano protagoniste assolute, facendo della loro natura grottesca la propria stessa forza. La scena spoglia all’interno della quale si svolge la vicenda richiama la semplicità della messa in scena tipica della Commedia dell’Arte, ma al tempo stesso ricrea anche la suggestione di una cella spoglia di un carcere italiano, con i pochi oggetti che tipicamente la popolano: in questo caso, però, sono oggetti singolari, strani, che stonano all’interno di una cella di massima sicurezza (una radio, alcuni giornali, un piccolo televisore con video registratore, un servizio da caffè, addirittura per ospiti, delle piante), elementi che rappresentano un’unicità, concessa appunto solo a questa “personalità” reclusa.

 

liberamente ispirato alla canzone di Fabrizio De Andrè
regia di Federico Moschetti
drammaturgia di Irene Scialanca
con Federico Moschetti, Irene Scialanca

Agosto 21st, 2018 by