Peggy Pickit guarda il volto di Dio


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Peggy Piggit, una satira feroce che mette in luce la complessità e l’intrinseca contraddittorietà dello sguardo occidentale sul continente africano, è parte della Trilogia Africana di Roland Schimmelpfenning, che ha debuttato a Toronto nel 2011.

Karen e Martin tornano a casa dopo aver trascorso sei anni lavorando nello staff di un’organizzazione come Medici senza frontiere in un paese africano non ben definito. Al loro ritorno, vengono invitati a cena dai loro vecchi amici Liz e Frank. Le due coppie si erano incontrate alla facoltà di medicina ma da lì in poi le loro vite avevano preso percorsi estremamente differenti. Mentre Karen e Martin hanno scelto di prestare assistenza medica in luoghi di estrema povertà, Liz e Frank hanno invece esercitato la loro professione inseguendo obbiettivi più tradizionali: la carriera, il guadagno, la costruzione di una famiglia. A legarli in questa lunga distanza, la presenza di una bambina, Annie, che Liz e Frank hanno adottato a distanza, e di cui Martin e Karen si sono presi cura durante la loro permanenza in Africa.

Durante la cena, l’alcool inizia a scorrere e fa emergere incomprensioni e gelosie reciproche tra le due coppie. Protagoniste inerti dell’azione diventano inaspettatamente due bambole. La prima, Peggy Pickit (che dà nome all’opera), è un costoso giocattolo di fabbricazione occidentale destinato da Liz e Frank ad Annie, l’altra è una semplice bambola artigianale di legno, portata in dono dall’Africa da Karen e Martin per Katie, la figlia biologica dei loro amici.

Le due bambole diventano il simbolo dell’enorme divario tra il capitalismo avanzato del mondo occidentale e la povertà dei paesi in via di sviluppo. Un divario incolmabile sottolineato anche dal racconto che Liz fa di una lettera che Katie ha scritto per Annie, tentativo, forse impossibile, di gettare un ponte tra due realtà troppo lontane. Attraverso i toni a volte ironici, a volte dolorosi di questa commedia amara, il conflitto che anima azioni e relazioni in scena diventa dunque metafora di un’inquietudine esistenziale tipica del contemporaneo.

 

Di Roland Schimmelpfennig

traduzione di Marcello Cotugno e Suzanne Kubersky

regia, colonna sonora e luci Marcello Cotugno

con Valentina Acca, Valentina Curatoli, Aldo Ottobrino ed Emanuele Valenti

scene Sara Palmieri

costumi Ilaria Barbato

produzione Teatri Associati di Napoli con il sostegno del Goethe Institute Napoli

Febbraio 25th, 2022 by