Una produzione Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale / Teatro Stabile di Genova / Teatro Stabile del Veneto – Teatro Nazionale
in accordo con Gianluca Ramazzotti per Artù
e con Alessandro Longobardi per Viola Produzioni
Con il sostegno di FIDEURAM
A un anno dalla morte di Umberto Eco, il regista Leo Muscato porta a teatro il suo romanzo capolavoro: Il nome della rosa e lo fa avvalendosi della scrittura di Stefano Massini e di un cast di eccellente. Riuscire a far entrare un’intera abbazia su un palcoscenico non è sicuramente facile. Gli interni vengono costruiti, di volta in volta, grazie agli arredamenti che entrano in scena su binari mobili, mentre per la ricostruzione degli esterni si ricorre all’uso di proiezioni. Sia gli interni che gli esterni dell’abbazia restano in penombra e le suppellettili hanno colori scuri: con l’incendio finale e le figure dei frati recanti lanterne in mano, l’allegoria con l’Inferno risulta completa. Il sipario non viene mai calato, poiché non esiste un vero e proprio cambio di scena; i protagonisti si muovono nella struttura a due piani che diviene ora il refettorio, ora la biblioteca, ora la cappella. Protagonista di questa rappresentazione è il vecchio Adso da Melk. Egli è il collante, l’io narrante e colui che è riuscito a risolvere il mistero dell’Abbazia anni prima e che ora ne riprende il racconto, partendo dal ritrovamento di un vecchio manoscritto. Sempre in scena, a volte intento a camminare, altre volte seduto su uno sgabello, è una sorta di deus ex machina venuto dal futuro che conosce ogni spazio segreto e non di quel posto e forse non è riuscito mai ad uscirne del tutto. Adso si trovava in quel luogo tetro per risolvere un mistero, un omicidio, da cui ne scaturiranno altri. La sua scaltrezza e il suo spirito pronto e acuto lo aiuteranno in più di un’occasione a cacciarsi fuori dai guai. La storia è nota e anche il finale; ciò che rende diversa e appetibile questa rappresentazione è la fluidità dei dialoghi e la narrazione veloce, seppur dilatata nel tempo. Tre ore di spettacolo che non pesano assolutamente. Enigmi da risolvere, colpevoli da trovare e morti da seppellire rendono la pièce tutt’altro che noiosa. Sebbene in primo piano resti l’indagine, non restano relegati a margine gli altri temi cardine del romanzo: la temporalità discussa della Chiesa, la filosofia come sete di sapere e la lotta agli eretici. Il libro avvelenato uccide senza pietà e più se ne leggono pagine più la morte arriva veloce. La sete di sapere che c’è in ogni uomo porta alla dissoluzione, ma non può e non deve né essere messa in discussione né arginata altrimenti il mondo si fermerebbe. Allo stesso modo, l’uomo, l’unico animale in grado di ridere, non può essere costretto a non farlo; il potere del controllo da parte di pochi sulla massa cerca di far apparire il riso come qualcosa di diabolico, ma ci si può e ci si deve ribellare. Si combatte per la libertà di pensiero e azione: molti saranno sacrificati, molti ne ricaveranno beneficio, se non subito, nel tempo. L’ignoranza verso ciò che spaventa crollerà e un nuovo tassello verrà posizionato nel puzzle rappresentante un mondo migliore.
Marianna Addesso iNPlatea
di Umberto Eco
versione teatrale di Stefano Massini
regia e adattamento Leo Muscato
con (in o.a.) Eugenio Allegri, Giovanni Anzaldo, Giulio Baraldi, Renato Carpentieri, Luigi Diberti, Marco Gobetti, Luca Lazzareschi, Daniele Marmi, Mauro Parrinello, Alfonso Postiglione, Arianna Primavera, Franco Ravera, Marco Zannoni
scene Margherita Palli
luci Alessandro Verazzi
costumi Silvia Aymonino
musiche Daniele D’Angelo
video Fabio Massimo Iaquone, Luca Attilii